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Leonardo da Vinci e assistente

Vergine delle Rocce

Olio su tavola trasferito su tela, 154 x 125 cm

Collezione privata

Con la celebre lettera indirizzata a Ludovico il Moro (Codice Atlantico, f. 1082r) ha idealmente inizio la prima stagione artistica milanese di Leonardo. Il lungo elenco redatto, con le conoscenze tecniche e teoriche possedute, applicabili soprattutto ai campi dell’ingegneria militare e civile, negli auspici dell’artista doveva procurargli un coinvolgimento immediato nei progetti del Duca. E nonostante le competenze artistiche del maestro fossero relegate al fondo della missiva, la prima commissione milanese che lo vede coinvolto riguarda la realizzazione di un’opera pittorica, la Vergine delle Rocce. Altrettanto famosa è la diatriba intercorsa tra i committenti di questa impresa, i confratelli della Compagnia dell’Immacolata Concezione, e i suoi autori, Leonardo da Vinci e i fratelli Evangelista e Giovan Ambrogio De Predis, a cui l’opera era stata congiuntamente affidata. Perché a partire dal 1483 e fino a tutto il venticinquennio successivo si succede una complessa trama di eventi che hanno come oggetto l’accettazione, la consegna e il saldo della tavola, oltre che litigi intercorsi tra gli stessi artisti. Una vera e propria battaglia legale che si sarebbe conclusa solo nel 1508 e dopo il rientro di Leonardo a Milano.

Allontanandoci dal granaio delle discussioni sulla prima committenza della pala, che per ora i documenti ricordano ancora realizzata su ordine degli scolari dell’Immacolata, è utile affrontare un punto particolarmente oscuro della tavola di Parigi, vale a dire il suo trasferimento in Francia. Se, come è noto, la prima menzione francese del dipinto risale al 1625, il problema del suo trasferimento da Milano apre il campo a svariate ipotesi. Una delle più condivise considera che l’opera venne donata da Ludovico il Moro a Massimiliano d’Asburgo il quale, nel 1493, avrebbe preso in sposa la nipote del duca, Bianca Maria Sforza. L’imperatore, a sua volta, si sarebbe servito della Vergine delle rocce come dono nuziale per gli sponsali tra la nipote Eleonora d’Asburgo e Francesco I, celebrati nel 1530 a suggello della pace tra Spagna e Francia. Che invece la tavola giungesse colà per volontà diretta di Luigi XII – come sostenuto da altri – appare oggi una strada non percorribile visto che, come ha osservato il Villata, fino al gennaio del 1507 il re di Francia non avrebbe mai visto alcun dipinto di Leonardo. Il dato significativo rimane tuttavia che la versione parigina della Vergine delle rocce (acquistata o meno dal Moro; rifiutata o meno dai confratelli dell’Immacolata Concezione) lasciò relativamente presto Milano ed essere di lì a poco replicata in un altro esemplare, quello oggi presente alla National Gallery di Londra. 

A complicare ulteriormente le problematiche sul collegamento, la destinazione, la committenza e finanche la datazione di queste due versioni sarebbe anche una replica, ancora quattrocentesca, e che è l’oggetto principale di questa mostra, tornata alle attenzioni della cronaca vinciana nel 1991 grazie a un lungo e dettagliato articolo pubblicato dal Marani. Si tratta della bella redazione con la Vergine delle rocce scoperta da Jean-Auguste-Dominique Ingres verso il 1845, e che dal 1897, anno in cui fu acquistata da Paul Arthur Chèramy, diviene oggetto di un’intensa attività critica. A valle di tutto quanto discusso finora, l’ipotesi dell’esistenza di una versione, o una replica, della tavola del Louvre – vale a dire del dipinto eseguito da Leonardo e terminato attorno al 1486 –, è spesso circolata tra gli studi, fino a decongestionarsi inesorabilmente con l’avvento dei contributi del Marani (1991) e del Pedretti (1993). Ora, per comprendere e condensare le ragioni della posizione storica di questo dipinto, converrà isolare le parti sulla più antica provenienza e sul primitivo dibattito critico sviluppato attorno alla pittura Chèramy, per raggiungere le quote più recenti della critica dagli anni Novanta ad oggi. Al tempo della pubblicazione del saggio del Marani si poteva contare sull’appena terminato restauro di quest’opera da parte della Pinin Brambilla Barcilon e su alcune indagini di laboratorio utili alla comprensione dell’originario supporto. In sede di restauro, infatti, si riuscì ad accertare che il dipinto, originariamente realizzato su un supporto ligneo, poi trasferito su tela tra Sette e Ottocento (?), non solo si presentava privato della sua centinatura, ma risultava alterato nella parte inferiore da una fascia, dipinta con scorci di cielo e rocce, evidentemente in origine collocata nella sede superiore e posta in basso per colmare i danni della base. In effetti, a parte l’intrigante interrogativo sulla paternità della tela, il saggio del Marani ebbe il merito prezioso di proporre, nel pieno fermento delle discussioni intorno alla Vergine delle rocce, la problematica dell’esistenza di una versione dimenticata che, oltre ad offrire nuovi spunti sulla ricezione degli insegnamenti di Leonardo da parte dei suoi allievi, si poneva al centro di un’altra questione: quella legata al tempo di permanenza a Milano della redazione del Louvre, prima della sua dipartita e del suo susseguente approdo in Francia. Successivamente, e fino al 2017, seguendo le tracce che il Marani aveva inizialmente indicato, si è ritenuto di riconoscere in questo dipinto una versione intermedia tra la redazione del Louvre e quella di Londra, saldando il giudizio attributivo al maestro di Vinci e ai suoi collaboratori mediante la lettura stilistica e il rilievo di alcuni particolari mancanti al gruppo delle edizioni desunte dall’originale francese. Di fatto, a parte rilevare il raggiungimento di altezze qualitative che a tratti sono pari a quelle del maestro, ai due studiosi non era sfuggito un particolare che riguarda la presenza, sullo sfondo, di una struttura con una cupola a crociera su pianta semicircolare, a cui è collegato un avancorpo con un campanile di gusto medievale, e che precisamente ricorda alcuni studi di Leonardo per architetture religiose. Il singolare dettaglio – appena visibile a causa delle ossidazioni di superficie nella versione Chèramy e riconoscibile assai genericamente in alcune copie della Vergine delle Rocce, tra cui quella di Copenhagen e quella delle Orsoline a Milano – potrebbe costituire un prezioso indizio per stabilire i termini cronologici di questo dipinto, dal momento che esso rimanda con precisione ad alcuni pensieri di Leonardo eseguiti tra il 1485 e il 1490 aventi come oggetto teorizzazioni per la cupola del duomo di Milano. L’inclinazione di questi studi, che sottendono ad un’idea di proiezione architettonica sviluppata nello spazio, ci è utile per ragionare sulla coerenza del rapporto sintattico esistente tra questa tela e alcuni schizzi di complessi chiesastici sviluppati da Leonardo. Un orientamento tipologico, in questo momento utile per ragionare sulla coerenza di tale rapporto sintattico, si può certamente raccogliere genericamente nei vari schizzi per architetture religiose, e anche in un foglio con studi per una Natività a Windsor (RL 12560, c. 1485), dove l’abbozzo di un campanile può ben rappresentare un presupposto ideologico per la virtuosa invenzione del piccolo complesso architettonico raffigurato nella tela Chèramy.

L’altissima qualità pittorica di questa Vergine delle rocce, non reperibile in alcuna delle copie del dipinto ora al Louvre, diviene nuovamente lo snodo di una riflessione edificata sulla collaborazione tra Leonardo ed alcuni dei suoi più talentuosi allievi, nonché sull’evidenza di talune affinità tecniche ed espressive maturate attorno alle teorizzazioni del maestro. In effetti, è proprio la trasposizione di talune disposizioni stilistiche di Leonardo su lavori come la Madonna Litta o la seconda versione della Vergine delle Rocce, che offre la possibilità di esplorare specificamente il campo su cui la ex Chèramy può aver trovato i termini della sua creazione. Procedendo su questa traccia speculativa, osservando alcune caratteristiche del dipinto è possibile stabilire quanto il canone vinciano abbia finito per condizionare la nervatura stilistica di un collaboratore che, evidentemente, rivendicava e mostrava le prove della sua abilità di interprete di tali presupposti ideologici, dalla resa dei toni cerulei al calcolo concettualmente progressivo delle fonti di luce. Nello specifico, rileggendo e decodificando le inclinazioni del dettaglio formale, ci si trova al cospetto di un documento di lavoro che esprime efficacemente la sintesi di una collaborazione tra maestro e discepolo, dove quest’ultimo sembra declinare gli assiomi teorici leonardiani in canoni tecnici che appaiono sperimentati e forse già collaudati.  

Tuttavia, la soluzione straordinaria di alcuni dettagli della Chèramy, letti nell’ottica che forse non si prevedeva fedelissima al brano francese, lascia immaginare che l’impegno del Vinci non sia stato limitato al solo ruolo di regista dell’impresa, anzi. Nonostante alcune parti del dipinto, come i volti della Madonna e dell’angelo, rivelino uno stato di consunzione che non consente di svelare fino in fondo la progressiva intensità della forza originaria, non è difficile raccogliere la pienezza dei volumi e la plasticità con cui esse sono rese, dove anche le figure del Battista e del Bambino, in cui la lezione anatomica si presta ad essere indagata da effetti di chiaroscuro di sublime tecnicismo, si raccordano in un cono d’ombra che è quanto mai distante dal bagliore che investe la scena della versione del Louvre. È appunto in questa particolare sezione del dipinto che il campo creativo assume un approccio concettuale profondamente autonomo dall’originale: la luce, trasferita dall’alto, investe la scena e colpisce le pieghe gialle del panneggio della Vergine, consentendo a quello stesso cartoccio di panno raggiante di divenire il punto dal quale si indagano particolari come il formidabile rivolo di tessuto verde germogliato dalla spilla che trattiene i lembi del manto della Madonna.

Questo rivoluzionario espediente tecnico, ricavato da principi ottici esplorati da Leonardo sui cosiddetti reverberi di luce e ombre riflesse, permette di mostrare al meglio un dettaglio compositivo non leggibile nella prima versione ma già presente nel brano di Londra e in molte delle copie successive; senza contare che tale genere di supposizione potrebbe anche favorire l’ipotesi della circolazione di cartoni da cui deriverebbe la copia di Copenhagen e le altre rivisitazioni successive. Ancora, ciò che colpisce della Vergine Chèramy è l’utilizzo di un genere cromatico ambiguo che potrebbe anche spiegare la scelta di essenzializzare la ricchezza e l’indagine della rappresentazione botanica: l’estesa oscurità, interrotta solo dai tagli di luce e dalla risonanza di queste sui corpi, sembra calcolata per accedere ad un’idea più pragmatica e meno virtuosa rispetto alla sofisticata rappresentazione del talentuoso tour de force geologico della prima versione. É come se, assicurata la soluzione strutturale e ribadito il procedimento inventivo e sintattico, si fosse impostata una accelerazione o stabilito un termine assai ridotto per la sua creazione. Questa sensazione di incompletezza, forse da recepire proprio nello snellimento dell’ingombro vegetativo, potrebbe anche spiegarsi con l’ipotesi di un impegno risolto tutto d’un fiato, probabilmente per accomodare le esigenze di un committente a cui era stata concessa la visione della prima versione. Per decifrare l’organicità espressiva e ottenere indizi più precisi sulla genesi e gli sviluppi della pittura Chèramy, è stato deciso di avviare un protocollo di indagini scientifiche che consentissero di individuare eventuali tracce di disegno sottogiacente, nonché riconoscere le zone di degrado e oggetto di restauri. Tale processo di studi è stato diretto dai laboratori della ARTMYN che nello specifico ha condotto esami come la riflettografia infrarossa, la fluorescenza ultravioletto e la scansione del piano di superficie della pellicola pittorica. L’esito di questo protocollo di indagini ha rivelato una certa difformità di conduzione del dipinto, vale a dire una grammatura gestativa che nel complesso sembrerebbe ricondurre all’ipotesi di una collaborazione a quattro mani e forse anche ad una meditazione tipologicamente esclusiva. Dalla raccolta delle immagini all’infrarosso è stato possibile intercettare alcuni tratti di un disegno preparatorio a carboncino, dove è reperibile un’articolazione grafica che, anche a causa di alcuni ripensamenti, appare imbevuta di una sensibilità più sapiente rispetto a quanto la parte dipinta mostri in superficie. In questa specifica rilettura si è arrivati a comprendere la perfezione formale di dettagli straordinari come l’intensa e sublime sagomatura a carbone che delimita i contorni della mano dell’angelo, o il movimento elegantissimo delle dita della Vergine che trattengono il sottile velo di seta che cinge il busto del Battista; o ancora i tratti scultorei in cui divergono e si accartocciano i panneggi e infine il plasticismo attraverso il quale sono modellati i corpi dei fanciulli, dove addirittura le pieghe delle carni si raccontano con un vigore tecnico ed una qualità grafica di suprema sapienza. La restituzione di questo sorprendente e inaspettato invaso sottogiacente, per lo più da riconoscersi in un vero e proprio bacino di inesplorate potenzialità espressive, potrebbe ora stabilire che il contributo di Leonardo in quest’opera non sia da individuarsi solo nei resoconti più evidenti della pittura, ma dovrebbe intendersi estendibile anche nel processo metodico e creativo dell’impianto sottogiacente. 

L’affondo sui materiali di laboratorio e l’estensione trasversale del confronto con l’originale del Louvre, può ora offrire un respiro più dinamico alla valutazione della Chèramy, che segna con giustezza un prezioso punto di interesse per la comprensione delle dinamiche di collaborazione tra Leonardo e i suoi più dotati allievi. 



Nicola Barbatelli

Leonardo da Vinci and assistant

Virgin of the Rocks

Oil on wood panel transferred on canvas,

154 x 125 cm

Private Collection

Leonardo's artistic endeavours in the Milan area are generally believed to have begun with the letter he sent to Ludovico il Moro (Codice Atlantico, f. 1082r). In this letter, he provided a detailed description of his practical and theoretical knowledge, especially in the fields of military and civil engineering, which ensured his immediate involvement in all the projects commissioned by the Duke of Milan. However, even though his artistic skills were mentioned at the end of the letter, his first task upon arriving in Milan was to execute a painting: the Virgin of the Rocks. This commission brought about a well-known argument between the commissioners of the painting, the members of the Compagnia dell'Immacolata Concezione, and the artists involved in its creation – namely, Leonardo together with Evangelista and Giovan Ambrogio De Predis. Indeed, from 1483 onwards, for the subsequent 25 years, the parties involved in this dispute engaged in a complex legal battle concerning the approval, delivery, and payment for the artwork. This prolonged litigation only concluded in 1508, after Leonardo returned to Milan. However, setting aside the contentious issue of the commissioning of the Virgin of the Rocks, there remains an important unresolved aspect concerning the painting – namely, its transportation to France.

Since the first mention of this painting in a French document date back to 1625, scholars have put forth several hypotheses regarding its journey from Milan to Paris. One of the most widely accepted opinions suggests that Ludovico il Moro donated the painting to Maximilian I of Habsburg, who had married Ludovico's niece, Bianca Maria Sforza, in 1493. Later, Maximilian I presented the Virgin of the Rocks as a gift for the marriage between his own niece, Eleanor of Austria, and Francis I. This marriage was celebrated in 1530 and served as a final act to solidify the peace between Spain and France. The possibility that the painting came to France through a direct order from Louis XII, as suggested by some scholars, appears to be unlikely today. As argued by Villata, the King of France hadn't seen any of Leonardo's works before January 1507. Whether the Parisian version of the Virgin of the Rocks was purchased by Ludovico il Moro or declined by the members of the Immacolata Concezione, the significant fact is that the painting left Milan relatively early, necessitating the creation of another copy, which is now housed at the National Gallery in London.

Another version of the Virgin of the Rocks, originating from the 15th century, adds further complexity to the historical reconstruction of the Parisian and London versions. This particular version, which is the centrepiece of the exhibition, came to public knowledge in 1991 through an article published by Marani. We are referring to the version of the Virgin of the Rocks that was discovered by Jean-Auguste-Dominique Ingres in 1845 and subsequently purchased by Paul Arthur Chèramy in 1897, sparking intense scrutiny and fascination around this artwork. The hypothesis that Leonardo could have created a copy of the Virgin of the Rocks at the Louvre has been a topic frequently discussed among art historians, until the pivotal studies conducted by Marani in 1991 and Pedretti in 1993.

To comprehend the nature of the Chèramy version of the Virgin of the Rocks, it is essential to delve into its origin and explore the ongoing debate and discussions that the painting has generated since its discovery up until the most recent contributions by art historians. In 1993, when Marani published his study, Pinin Brambilla Barcilon had just completed the restoration of the Chèramy version, which proved to be instrumental in providing crucial data about the painting's original support. Through the restoration process, conservators were able to determine that the artwork was initially created on a wooden panel and later, most likely between the 17th and 18th centuries, transferred onto a canvas. During the restoration, it was observed that the painting lacked centring, which refers to the temporary structure used during the construction of an arch or vault to support the stones. Additionally, a band featuring sky perspective and rocks was found to be altering the bottom part of the image. This band was likely taken away from the top and added later to address some damages that may have occurred in that part of the painting. Amidst the intense debate surrounding the Parisian version of the Virgin of the Rocks, Marani deserves credit for bringing attention to this overlooked version. His work sparked a significant discussion that proved useful in proposing new insights into how Leonardo's models were received by his students. More importantly, it shed light on Leonardo's stay in Milan after completing the Virgin of the Rocks at the Louvre and before his journey to France.

Until 2017, art critics and experts, following the leads provided by Marani, considered the Chèramy version to have been created between the Louvre version and the National Gallery version. This hypothesis was supported by a stylistic analysis that compared the three versions and noted similarities and differences between them. Additionally, the absence of certain details in the original French version further reinforced the idea that the Chèramy version might have been an intermediate step in the evolution of the artwork. In addition to recognizing the painting's quality in line with Leonardo's style, Marani and Pedretti observed a specific architectural detail in the Chèramy version that holds significance. This detail is the presence of a dome on a semi-circular structure in the background, connected to a nave with a bell tower. This architectural feature is reminiscent of some of Leonardo's drawings for religious architecture, suggesting a deliberate design choice by the artist. However, this particular detail in the Chèramy version is somewhat obscured by surface oxidation, making it challenging to fully appreciate its intricacy. Nevertheless, it becomes clearer in some of the other copies of the Virgin of the Rocks, such as those in Copenhagen and the Borghetto Virgin of the Rocks in Milan. Indeed, the presence of the dome on a semi-circular structure in the Chèramy version could be a crucial clue for understanding the history of this artwork. As it mentioned, the shape of the dome appears to be closely connected to the architectural ideas that Leonardo outlined for the dome of the Cathedral of Milan between 1485 and 1490. Leonardo's architectural drawings and concepts for the Milan Cathedral offer valuable insights into his ideas and designs for religious architecture during that period. By examining the Chèramy version in light of Leonardo's architectural concepts, art historians can gain a deeper understanding of the relationship between the painting and the artist's religious architectural ideas developed during that time.

The connection between the Chèramy version and Leonardo's ideas for religious architectures becomes evident when examining various examples from Leonardo's body of work. For instance, in his studies for a Nativity at the Winsor Collection (RL 12560, c. 1485), the belltower outlined on the page appears to have influenced the design of the church in the Chèramy painting. The Chèramy version stands out with its exceptional quality, surpassing other copies of the French original. This outstanding execution exemplifies the profound impact of Leonardo's mentorship on his most talented students, showcasing the remarkable achievements they reached under his guidance. Indeed, the creation of the Chèramy version was shaped by contemplation and study of significant works by Leonardo, such as the Madonna Litta and the Virgin of the Rocks in London. These masterpieces provided the framework upon which the Chèramy version was constructed. By closely examining these models, we can discern the profound influence they had on one of Leonardo's students. This talented student skilfully interpreted his master's style, as evidenced by the delicate nuances of blue in the sky and the meticulous rendering of different sources of light. Careful analysis of the painting's formal details reveals the student's ability to effectively apply the theoretical research conducted by the master.

The divergent details between the Chèramy version and the original French version suggest that Leonardo's role in the Chèramy version went beyond that of a mere coordinator. Despite some parts of the painting being worn out and making direct comparison with the original details difficult, it is evident that the Chèramy version replicates the same exceptional quality of the figures. Both Christ and the boy Saint John exemplify Leonardo's anatomical expertise, explored through a sophisticated chiaroscuro technique. They are intricately connected through a shadow cone, in stark contrast to the gloomy lighting that pervades the French version. The use of light becomes the primary creative difference in the Chèramy version. Illuminating the scene from above, this lighting technique allows the painter to delve into the minutest of details, such as the graceful folds of Mary's drapery or the intricacies of the brooch that secures the green fabric of her cloak. This revolutionary technical device is a product of Leonardo's research into reverberation and reflected shadows. It provides a unique perspective, revealing a previously unseen detail in the composition that was not visible in the Virgin of the Rocks at the Louvre but was already present in the version located in London. This insight adds to our understanding of the artwork and how it evolved across different versions. Moreover, the use of this technique suggests that cartoons or preparatory drawings were circulating within Leonardo's atelier. These cartoons likely served as essential references and guides for artists, including those who created copies of the Virgin of the Rocks in locations like Copenhagen and elsewhere. Furthermore, the Virgin in the Chèramy version stands out due to its ambiguous chromatic choice, which may provide an explanation for the essential range of colours used to depict the botanical species in the painting. The overall darkness of the scene, intermittently interrupted by light and its effect on the figures, appears to adhere to a pragmatic idea of the image, distinct from the opulence and richness seen in the representation of the first version. It seems that once the image's structure and the relationship between the figures were established, Leonardo and his assistants made a deliberate choice to reduce the number of elements involved in the overall composition. This reduction in details, particularly evident in the botanical part of the painting, could be attributed to the influence of an eager patron who had already seen the first version of the Virgin of the Rocks and desired a copy to be completed swiftly.

To gather more insights into the formation and development of the Chèramy version, a comprehensive survey was initiated, aiming to identify traces of the preparatory drawing and deteriorated areas on the canvas. This meticulous investigation took place in the laboratories of ARTMYN, where advanced techniques were employed, including Infrared Reflectography (IR), ultraviolet fluorescence, and a varnish scan. The results of the survey revealed intriguing inconsistencies in the execution of the painting, suggesting the involvement of at least two artists in the creation of the Chèramy version. The Infrared Reflectography provided valuable insights into the formation of the Chèramy version, revealing traces of a preparatory drawing created using charcoal pencil. This preparatory drawing exhibited an overall articulation of the scene that appeared more sophisticated than the final version completed with paint. The preparatory drawing, revealed through Infrared Reflectography, showcases the remarkable quality of small details in the Chèramy version. These intricate details include the delicate shaping of the Angel's hand and the graceful movement of the Virgin's fingers as she holds the silky veil enveloping Saint John's waist. The drapery is meticulously rendered, with folds that appear as if they were sculpted in marble. Underneath the drapery, the bodies are depicted with an incredible understanding of anatomy, highlighting the artist's profound knowledge and technical prowess.

The rediscovery of the preparatory drawing and its exceptional quality strongly suggests that Leonardo's involvement in the creation of the Chèramy version went beyond just the painting phase. The level of detail and artistry present in the drawing indicates that Leonardo played a significant role in the overall conception and structure of the artwork. Indeed, the comprehensive survey of the Chèramy version, combined with comparisons to the version at the Louvre, has significantly enhanced our understanding of this artwork and the collaborative dynamics between Leonardo and his students.

Nicola Barbatelli